miércoles, 16 de abril de 2008

CAMILLO SBARBARO

Camillo Sbarbaro
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« Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me estraneo,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
che la prima viola sull'opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegra. »
(Camillo Sbarbaro, Pianissimo)


Camillo Sbarbaro (Santa Margherita Ligure, 12 gennaio 1888 – Savona, 31 ottobre 1967) è stato un poeta e scrittore italiano.

Indice [nascondi]
1 Biografia
2 Poetica
3 La passione per la botanica
4 Estratti
5 Opere
5.1 Poesia
5.2 Prosa
5.3 Traduzioni
6 Voci correlate
7 Altri progetti
8 Collegamenti esterni



Biografia [modifica]
Camillo Sbarbaro nasce a Santa Margherita Ligure il 12 gennaio 1888. Il padre Carlo era ingegnere e architetto, figura molto amata dal poeta al quale dedicherà due note poesie nella sua seconda raccolta di versi "Pianissimo".
La madre, Angiolina Bacigalupo, che era ammalata di tubercolosi, muore molto presto, nel 1893, e il piccolo Camillo e la sorellina Clelia verranno allevati dalla sorella maggiore Maria, tanto adorata dal poeta che le dedicherà le poesie di Rimanenze.

Nel 1894 la famiglia si trasferisce nella cittadina ligure di Varazze dove Camillo inizierà le scuole elementari e in seguito il Ginnasio presso l' Istituto dei Salesiani. Nel 1904 avviene il trasferimento a Savona dove il giovane si iscrive al Liceo Gabriello Chiabrera e intanto conosce lo scrittore Remigio Zena, che, letti alcuni versi del giovinetto, ne incoraggia il proseguimento. Al Chiabrera avrà come insegnante di filosofia Adelchi Baratono che lo arricchirà intellettualmente e spiritualmente.

Nel 1908 consegue il diploma di licenza e nel 1910 trova lavoro presso l'industria siderurgica di Savona. Il suo esordio di poeta avviene nel 1911 con la raccolta Resine alla quale farà seguito, nel 1914, "Pianissimo".

Per approfondire, vedi la voce Pianissimo (Camillo Sbarbaro).

In occasione della pubblicazione di Pianissimo si reca a Firenze dove ha modo di conoscere Ardengo Soffici, Giovanni Papini, Dino Campana, Ottone Rosai e altri artisti e letterati che facevano riferimento alla rivista "La Voce". La raccolta pubblicata ottiene grande consenso e verrà prontamente apprezzata da critici come Boine ed Cecchi.

Quando scoppia la grande guerra, Sbarbaro lascia l'impiego e si arruola come volontario nella Croce Rossa Italiana e nel febbraio del 1917 viene richiamato alle armi. A luglio parte per il fronte. Scrive in questo periodo le prose di Trucioli che verranno pubblicate nel 1920 a Firenze da Vallecchi.

Nel 1919 la rivista Riviera Ligure gli dedica interamente il suo ultimo fascicolo. Durante l'estate rientra a Genova, frequenta con assiduità Pierangelo Baratono e il gruppo di intellettuali che fanno riferimento al poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi.

Lasciato il lavoro si guadagna da vivere con le ripetizioni di greco e di latino appassionandosi sempre di più alla botanica e dedicandosi alla raccolta e allo studio dei licheni, sua vera passione.

Conosce intanto Eugenio Montale, che per primo aveva recensito le prose di Trucioli, e frequenta i pittori Adriano Grande,Fausto e Oscar Saccorotti, Paolo Rodocanachi e lo scultore Francesco Messina. Nel 1921 inizia a collaborare alla "Gazzetta di Genova" con articoli sulla Liguria.

Nel 1927 accetta l'incarico di insegnamento per greco e latino presso l' Istituto Arecco di Genova dei padri Gesuiti, ma è costretto ad abbandonare la cattedra perché non accetta di essere tesserato al Fascio. Esce intanto nel 1928 il volume Liquidazione che contiene alcune tra le prose scritte negli anni del dopoguerra.

Continua lo studio e la raccolta appassionata sui licheni e in quello stesso anno vende a Stoccolma il suo primo erbario di muscinee.

Gli anni tra il '28 e il '33 Sbarbaro li trascorre compiendo numerosi viaggi all'estero e quando è in patria frequenta assiduamente un gruppo di amici letterati e artisti che si riuniscono nella casa di Paolo e Lucia Rodocanachi ad Arenzano o nella casa degli amici Elena e Leone Vivanti a Siena.

Nel '33 Sbarbaro inizia la collaborazione alla Gazzetta del Popolo di Torino. Scrive intanto il nuovo libro Calcomanie che, a causa della censura, non potrà vedere la luce se non nel 1940 in una ventina di copie dattiloscritte da distribuire agli amici.

Quando il 9 febbraio del 1941 Genova viene colpita da bombardamento navale, il poeta si trasferisce a Spotorno con la zia e la sorella e vi rimane fino al 1945 dando inizio ad una intensa attività di traduttore di autori classici greci e francesi.

Nel 1945 ritorna a Genova ma nel 1951 si trasferisce definitivamente a Spotorno. È di questi anni l'intensa collaborazione a numerose riviste come "Officina", "Letteratura", Itinerari, Ausonia, La Fiera Letteraria, Il Mondo Nel 1949 vince il premio letterario Saint-Vincent e nel 1955 il premio Etna-Taormina. Sempre in questo anno pubblica l'opera Rimanenze che raccoglie le sue ultime poesie.

Gli ultimi anni di attività letteraria saranno dedicati ad esili raccolte di prosa: Fuochi fatui (1956), Gocce (1963), Il Nostro (1964), Contagocce 1965), Bolle di sapone e Vedute di Genova (1966), Quisquilie (1967).

Conosce nel 1961 Arrigo Bugiani e inizia la collaborazione ai Libretti di Mal'aria.

Aggravatosi il suo stato di salute viene ricoverato all' Ospedale S. Paolo di Savona dove muore il 31 ottobre 1967.


Poetica [modifica]
La poetica di Sbarbaro, leopardiana nei toni crepuscolari, viene assimilata a quella di altri poeti liguri come Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Mario Novaro, Giovanni Boine ma, soprattutto, al Montale di Ossi di seppia (che a Sbarbaro dedicò questa raccolta).

Ugualmente Sbarbaro fu in grado di descrivere con leggere pennellate poetiche il paesaggio della sua terra, quella Liguria tanto amata dalla quale non volle mai staccarsi. Scrittore di controllatissima misura, scevro da ogni retorica ma capace di una essenzialità e di una visionarietà poetica scarna quanto profondamente suggestiva, Sbarbaro fu anche traduttore di importanti classici, da Eschilo a Sofocle, da Euripide ad Erodoto e Pitagora, ma anche di Molière, Stendhal, Balzac, Maupassant, Flaubert, Zola, Joris-Karl Huysmans.


La passione per la botanica [modifica]
Appassionato di licheni, pubblicò inoltre vari Contributi lichenologici. La sua importante collezione di licheni è stata da lui stesso donata al Museo di Storia Naturale di Genova. Molti campioni da lui raccolti e catalogati sono custoditi presso musei botanici e dipartimenti universitari europei ed americani. Molto importante il suo contributo alla collezione del Field Museum di Chicago, negli USA. Delle 127 nuove specie descritte da Sbarbaro, una ventina porta il suo nome.


Estratti [modifica]
Ora che sei venuta,

che con passo di danza sei entrata

nella mia vita

quasi folata in una stanza chiusa -

a festeggiarti, bene tanto atteso,

le parole mi mancano e la voce

e tacerti vicino già mi basta

C.Sbarbaro, da "Ora che sei venuta" ("Rimanenze", 1955) Capisco, adesso, perché questa passione

ha attecchito in me così durevolmente:

rispondeva a ciò che ho di più vivo,

il senso della provvisorietà.

Sicché, per buona parte della vita, avrei raccolto,

dato nome, amorosamente messo in serbo....

neppure delle nuvole o delle bolle di sapone

- che per un poeta sarebbe già bello;

ma qualcosa di più inconsistente ancora:

delle effervescenze, appunto.
C.Sbarbaro. "Licheni"






Opere [modifica]

Poesia [modifica]
Resine, Caimo, Genova 1911
Pianissimo, Edizioni de "La Voce", Firenze 1914
Trucioli (1914-1918), Vallecchi, Firenze 1920
Liquidazione (1914-1918), Ribet, Torino 1928
Rimanenze, All'Insegna del Pesce d'Oro, Milano 1955
Primizie, Scheiwiller, Milano 1958

Prosa [modifica]
Fuochi fatui, All'insegna del Pesce d'Oro, Milano 1956
Scampoli, Vallecchi, Firenze 1960
Gocce, Scheiwiller, Milano 1963
Quisquilie, Scheiwiller, Milano 1967

Traduzioni [modifica]
A rebours, di K.Huysmans, All'insegna del Pesce d'Oro, Milano 1968













Pianissimo (Camillo Sbarbaro)




Pianissimo è una silloge poetica del poeta Camillo Sbarbaro che fu pubblicata per la prima volta dalle Edizioni "La Voce" a Firenze nel 1914 e che secondo Edoardo Sanguineti [1] «è la sua più rilevante opera di poesia, con l'intenso prosaismo morale che la caratterizza.»

Di Pianissimo furono stampate tre edizioni, quella originale del 1914, una seconda edizione riveduta, presso la casa editrice "Pozza" a Venezia nel 1954 e una redazione ulteriormente ritoccata in Poesie dall'editore Scheiwiller a Milano nel 1961 (queste poesie vengono datate 1960 dall'autore). È da notare che una decina delle poesie che facevano parte dell'edizione del 1914 mancano nelle edizioni successive.

Le varie versioni delle singole poesie sono decisamente diverse tra loro, tanto che, in quasi tutte le raccolte, sono presenti contemporaneamente le versioni del 1914 e quelle del 1960.[2]

I temi che dominano le poesie della raccolta sono quelli del vuoto interiore e della tragica incapacità di creare un rapporto armonioso tra la realtà e il soggetto che in essa vive.

« Andando per la strada così solo/ tra la gente che m'urta e non mi vede/ mi pare d'esser da me stesso assente.[3] »


Riprendendo alcuni motivi dalla poesia francese e soprattutto da Baudelaire, Sbarbaro utilizza la città moderna come scenario contro il quale si rispecchia la sua atonia e che serve a mettere in risalto i suoi sforzi di identificarsi con la partecipazione alle forme più abbiette dell'esistenza, dagli ubriachi alle prostitute.

Questi temi e queste figure entrano in rapporto voluto e contradditorio con i temi degli affetti familiari nella ricerca di ricreare un percorso di autenticità che abbia un legame con l' infanzia.

« Padre, se anche tu non fossi il mio/ padre, se anche fossi a me un estraneo, /fra tutti quanti gli uomini già tanto/ pel tuo cuore fanciullo t'amerei[4] »


In Pianissimo il discorso poetico è fortemente prosaicizzato mentre l'utilizzo dell'endecasillabo di influsso leopardiano dà ai testi un tono antimelodico e solenne.

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